DALL'UNIVERSITA' DI TRENTO DOVE FABRIZIO LAVORAVA, CI ARRIVA UN CONTRIBUTO DELL'AMICO ANDREA BINELLI CHE LASCIO ALLA VOSTRA LETTURA.
Buongiorno. grazie a tutti per la vostra partecipazione alla
16° ‘Corsa degli auguri - Memorial Fabrizio Cambi’ e grazie a Padre Gabriele
che mi ha chiesto di scrivere per l’occasione un contributo in quanto allievo,
collega e amico di Fabrizio Cambi presso l’Università di Trento.
Provo spesso a immaginarlo ma non ho nessuna certezza su come
Fabrizio vivesse la distanza e le somiglianze fra questi due mondi, quello
della corsa e quello degli studi accademici, che peraltro corrispondevano perlopiù
a due geografie così diverse: la sua Livorno baciata dal mare e Trento con le
sue montagne. Di certo, fare avanti e indietro fra questi due mondi, senza mai
venire meno in nessuno dei due, ha scandito tanti anni della sua vita, fino a
diventare una forma di normalità, sicuramente faticosa ma verso la quale chi lo
conosceva nutriva una grande ammirazione. Ricordo
che una sera tardi, in taverna a Trento, dopo un consiglio di dipartimento
infinito, con forti tensioni e quindi molto impegnativo, una collega stremata
da quella giornata difficile, restò sbalordita dal resoconto autoironico e
vivace di Fabrizio sulla maratona che egli aveva corso giusto un paio di giorni
prima, e alla fine gli chiese: “Ma sei tu che sei bionico o dipende da quello
che mangiate a Livorno?”
In realtà ad avvicinare lo studio e la corsa sono tante cose.
Intanto sono attività che puoi fare ovunque, sul lungomare come sul Lungo Adige,
perché quello che serve è già dentro di te. E, soprattutto, le accomuna una certa idea di generosità e di resistenza
che in Fabrizio trovano un fulgido esempio. “Perché dovremmo fare anche
questo sforzo?”, gli chiedevano i colleghi all’epoca in cui lui era preside di
facoltà e lui li esortava a svolgere una mansione, o più semplicemente, ad
avere una premura in più: “Per spirito di servizio”, rispondevano i suoi occhi
prima ancora che aprisse la bocca, per poi usare quelle stesse parole. Questa
abnegazione, l’altruismo e l’entusiasmo fiducioso con cui metteva in atto i
sacrifici nella certezza di ottenere risultati per la collettività è proprio
quello che ci manca e ci ispira di più oggi. Insomma, corsa e
studio sono entrambe attività di nicchia, forse per gente un po’ strana, in cui
non è indispensabile ma certamente aiuta l’essere un po’ folli e dimentichi di
sé, del presente, con le sue difficoltà e la sua stanchezza, per puntare dritto
all’arrivo, agli obbiettivi solo apparentemente irraggiungibili delle nostre
corse e delle nostre vite. Il mio personale augurio, infine, è che il ricordo
di Fabrizio continui a lungo a guidare i nostri e i vostri passi.
Andrea Binelli
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